Prendendo spunto dal Rapporto Living Planet 2014 creato dal WWF, una sua analisi è presente qui, siamo andati ad approfondire lo spinoso tema dell’overfishing.
Lo abbiamo definito spinoso in quanto ormai da decenni tale pratica continua indisturbata. Infatti, nonostante tanti leggi nazionali e internazionali, continuano le scorribande dei grandi pescherecci nelle acque internazionali. Continua la pesca intensiva delle superpotenze economiche e continuano, nel loro piccolo, le pratiche più assurde come la pesca con l’esplosivo o il veleno.
Insomma, la partita dell’overfishing, o della pesca selvaggia non è affatto chiusa.
Per poter combattere il fenomeno bisogna però conoscerlo molto bene. Sia per affrontarlo in maniera adeguata sia per evitare di comprare prodotti sbagliati. In questo articolo creeremo un elenco delle maggiori pratiche e tipologie di pesca ritenute distruttive o dannose per l’ambiente e per la sostenibilità del settore.
- Sovrapesca: esempi delle conseguenze derivanti da situazioni di sovrapesca si trovano in aree come il Mare del Nord e i Grandi Banchi del Nord America. In queste regioni la sovrapesca non si è dimostrata solamente disastrosa per gli stock ittici ma anche per le comunità di pescatori la cui sussistenza era strettamente legata a tali risorse. Come altre attività estrattive come la caccia e la selvicoltura, la pesca è soggetta a interazioni economiche tra gestione e la sostenibilità. Se queste interazioni non sono gestite in maniera ottimale l’intero comparto economico ne risentirà. Gli esempi non mancano: l’industria peschiera peruviana dell’acciuga crollò negli anni 1970 a causa di una situazione di sovrapesca successiva a una stagione influenzata da El Niño che aveva prodotto un’ampia diminuzione di questi pesci. Le acciughe erano state fino a quegli anni una risorsa naturale molto importante per l’economia del Perù. Nel 1971 la produzione annuale di acciughe ammontava a 10.2 milioni di tonnellate. Tuttavia nei 5 anni successivi la quantità di pesce catturato annualmente dall’intera flotta raggiunse solo 4 milioni di tonnellate. Questo rappresentò una perdita molto rilevante per l’economia peruviana. Il collasso dell’industria ittica del merluzzo nell’area di mare al largo delle coste del Newfoundland e la decisione presa nel 1992 dal Canada di imporre una moratoria indefinita per la pesca sui Grandi Banchi rappresentano un esempio drammatico delle conseguenze delle sovrapesca.
- Pesca a strascico: la pesca a strascico di profondità distrugge il fondale marino, facendolo somigliare sempre più a un deserto. L’impatto sulla biodiversità e sul funzionamento degli ecosistemi profondi è devastante, con conseguenze anche su scala globale. Gli stessi ricercatori descrivono questo metodo di pesca come « il più distruttivo della storia»: vaste reti, raschiando i fondali marini, rastrellano tutto ciò che incontrano lungo il percorso: pesci, coralli e tutti gli altri organismi che vivono in profondità ancorati al fondale. Catturano indiscriminatamente tutti gli animali selvatici e distruggono ecosistemi antichi e specie vulnerabili, alcune delle quali in via di estinzione.
- I rigetti: uno degli aspetti più importanti e scandalosi del degrado degli oceani. Si chiamano rigetti tutte le forme di vita marina pescate diverse dalle prede intenzionali. Sono “scarti”, comprendono gli esemplari della specie ricercata la cui taglia non è conforme, più altre specie che non si mangiano o non hanno mercato, specie vietate o a rischio d’estinzione, come certi uccelli, le tartarughe e i mammiferi marini. Alcuni pesci sono rigettati unicamente perché il peschereccio non ha la licenza per portarli a terra, perché non c’è spazio sull’imbarcazione o perché non sono della specie che il capitano ha deciso di catturare. Un recente rapporto del WWF stima che i rigetti siano il 40% del totale del pescato e precisa che in molti casi si tratta di esemplari giovani. È facile comprendere le drammatiche conseguenze sulla capacità delle specie di riprodursi e rigenerare gli stock. Al di là della pressione sulle specie, si tratta di uno spreco enorme di cibo, sia per il consumo umano, sia per quello dei predatori marini.
- La pesca fantasma: per pesca fantasma s’intende l’abbandono in acqua, in genere accidentale (ma a volte volontario), di reti e altro materiale, che continuano a catturare inutilmente pesci, molluschi, ma anche grandi mammiferi marini che muoiono per sfinimento dopo ore di lotta per risalire in superficie a respirare. Il problema delle attrezzature abbandonate o perse è amplificato dall’intensificarsi delle operazioni di pesca e dall’introduzione di equipaggiamenti prodotti con materiali sintetici resistenti.
- I veleni e gli esplosivi: l’impiego di veleni per uccidere o stordire il pesce è molto diffuso, in mare così come in acqua dolce, comprese le lagune costiere e le barriere coralline. La pesca al cianuro, per esempio, si pratica dalle scogliere decimate e devastate delle Filippine – dove si calcola che siano versate 65 tonnellate di cianuro all’anno – fino a quelle isolate a est dell’Indonesia e in altri paesi del Pacifico occidentale. In molti luoghi l’uso di veleni nella pesca è una tecnica tradizionale, ma gli effetti negativi si sono accentuati da quando alle sostanze di origine vegetale si sono sostituiti pesticidi chimici. I veleni uccidono tutti gli organismi dell’ecosistema, tra cui i coralli che formano le barriere. Anche l’uso degli esplosivi esiste da secoli ed è in espansione. Le esplosioni possono produrre crateri molto grossi, che devastano dai 10 ai 20 m2 di fondo marino. Non uccidono solo i pesci ricercati, ma anche la fauna e la flora circostanti. Nelle scogliere coralline la ricostruzione degli habitat danneggiati richiede decenni. Gli esplosivi sono facilmente reperibili e a buon mercato. Spesso provengono dall’industria mineraria o edilizia.